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· Abbiamo qualcosa da raccontarvi: "Alla scoperta dello Chenin Blanc" ·
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Alla scoperta dello Chenin Blanc

di Antonio Lagravinese

Se è vero che uno dei parametri fondamentali per la valutazione di un vino è la PAI , acronimo di Persistenza Aromatica Intensa, cioè la valutazione di quanto a lungo permangono nel nostro palato  le sensazioni suscitate dall’assaggio, ritengo altrettanto corretto valutare il livello di una serata di degustazioni in base alla vividezza dei ricordi che essa lascia a distanza di tempo.
Per questo motivo, mentre mi accingo a scrivere qualche impressione sull’evento del giorno 11 Novembre, mi rendo conto che si è trattata di una esperienza di altissimo valore.
Presso la sede di VOG a Crema, nei locali della Vineria Fuoriporta, un nutrito gruppo di soci ha risposto all’invito di Luca Bandirali e Delfina Piana ad approfondire la conoscenza di un vitigno pressoché sconosciuto ai più e molto raro in Italia: lo CheninBlanc.
A condurre la serata un personaggio d’eccezione: Christian Bucci. Dopo aver lavorato a Londra alcuni anni orsono sente il richiamo dell’Italia e ritorna nel nostro paese fondando, e divenendone unico responsabile, Les Caves de Pyrene Italia, società di distribuzione di vini, specializzata nella valorizzazione di piccole o medio piccole realtà vitivinicole con particolare attenzione alla viticoltura biologica o biodinamica.
In realtà quest’ultimo aspetto è puramente incidentale, in tutte le occasioni in cui ho in incontrato Christian, ha sempre tenuto a precisare che il tipo di coltura applicata non è una discriminante per accedere al catalogo della Distribuzione, l’unico parametro che viene preso in considerazione è che il vino deve piacere…… a lui! E’ un dato di fatto che molti dei vini selezionati siano poi effettivamente prodotti applicando colture biologiche o biodinamiche, ma ve ne sono anche numerosi  prodotti con agricoltura “convenzionale” che comunque soddisfano tutti i parametri organolettici desiderati. Ma quali sono questi parametri? Come già detto l’unica discriminante è che i vini devono piacere a Christian, e per piacere a lui sicuramente non possono mancare di acidità e sapidità, perché questo è il suo gusto personale.
Ecco il motivo per il quale, nella sua continua ricerca di prodotti il più possibile territoriali, Bucci è stato folgorato non sulla via di Damasco, ma su quella che costeggia il fiume Loira, dai vini a base di CheninBlanc.

Lo Chenin pare tragga origine nel VI secolo ed è quindi tra i vitigni più antichi di Francia ed ha individuato il suo habitat naturale nella parte centrale della Valle della Loira. Stiamo comunque parlando di un territorio che si estende per circa settecento chilometri e che presenta grandi variabilità di terreni. Un denominatore comune è però il clima molto umido che causa a molte uve problemi di muffa. La buccia dello Chenin si è ispessita al punto da acclimatarsi perfettamente e compenetrarsi con il territorio. Dico questo perché Christian definisce quest’uva un camaleonte, che si adatta ai diversi terreni, non imponendosi, ma anzi adattandosi e restituendone le diverse peculiarità nel bicchiere. Anche dal punto di vista enologico la versatilità è straordinaria, la si può utilizzare con soddisfazione sia per la produzione di vini spumanti, che fermi come pure vini dolci da appassimento, ciò grazie allo straordinario corredo acido e sapido che viene esaltato, o controbilanciato a seconda dei terreni nei quali viene messo a dimora.

Il nostro viaggio in Loira inizia dal DomainedesRoches-Neuves a Samur. Il territorio è rinomato soprattutto per i vini rossi a base Cabernet Franc ma questa azienda, che opera in biodinamico e per la maggior parte lavora in vigna utilizzando il cavallo, ha una vigna di CheninBlanc quasi centenaria, con alcuni ceppi prefilosserici che affondano le loro radici nel sottosuolo ricco di silex. Il vino che ne risulta, L’Insolite 2014, parla dell’incredibile equilibrio del frutto di questi tralci vecchissimi e della maniacale attenzione in vigna e cantina. Il vino svolge la fermentazione con il raspo in regime di semimacerazione carbonica. L’affinamento avviene in barrique o tini da 400l, in parte nuovi ed in parte di secondo o terzo passaggio. Da notare assolutamente l’intelligente uso del legno che lo rendono quasi impercettibile se non forse per una leggerissima sensazione tannica che verrà certamente riassorbita nel corso dell’evoluzione. L’assaggio rivela un vino estremamente minerale, molto sapido, con una delicatissima nota di idrocarburo affatto disturbante ma anzi splendidamente fusa al frutto croccante ed alla chiusura agrumata e mentolata. Sicuramente un difetto l’abbiamo trovato: la straordinaria gioventù. La struttura , la sapidità, la persistenza lunghissima e l’incredibile equilibrio nonostante l’indiscussa durezza dell’assaggio, lasciano presagire una straordinaria capacità di invecchiamento ed una evoluzione che nonpotrà che migliorare il prodotto nei prossimi anni.

Dalla felice mano di Thierry Germain, Deus ex Machina del DomainedesRochesNeuves, nasce anche il secondo vino degustato: Bulles de Roches. Si tratta di un metodo classico pasdosè, prodotto con il 95% di Chenin ed un 5% di Cabernet Franc. Sostanzialmente la base spumante è l’Insolite, alla quel viene aggiunto del mosto congelato per far ripartire la fermentazione. La permanenza sui lieviti è di due anni. Nonostante la indubbia acidità e sapidità emerge predominante la nota fruttata. L’effervescenza ben dosata gli dona piacevole cremosità, le note di frutta secca tostata, principalmente nocciola, lasciano poi il campo ad una chiusura fresca e sapida

Ci spostiamo da Samur andando verso Est fino a Montlouise, alla cantina di Franz Saumon dalla quale è uscito il Mineral+ 2014. Il terreno in questa zona ha una alta componente gessosa che favorisce la sapidità e acidità dei vini. Il Mineral+ non fa eccezione, il vino sembra straordinariamente asciutto, con anche una nota di riduzione. Stupisce apprendere che Franz Saumon ha lasciato un residuo zuccherino di 12gr/l, assolutamente non avvertibili. Probabilmente portare la fermentazione a termine avrebbe compromesso la bevibilità straordinaria di questo vino. La vinificazione e successivo affinamento di un anno in Tonneaux di 400l non è quasi percepibile, la nota riduttiva sicuramente donerà longevità e tenderà a fondersi con le note fruttate di pompelmo, mela ed arancia che inizialmente nascoste escono nel piacevolissimo  finale.

Ritorniamo verso ovest per raggiungere la zona sud delle sottozona Anjou. Un tempo qui arrivava l’oceano e nel terreno si trovano ancora numerosi i fossili. Attraverso il bicchiere incontriamo virtualmente Nicolas Reau, ex pianista jazz professionista, ex giocatore di rugby e dal 1999 viticultore a tempo pieno nel suo ClosdesTreilles. L’estrosità del personaggio possiamo già intuirla dall’etichetta e dal nome del vino: “attentionCheninméchant” che tradotto in italiano sarebbe “attenzione Chenin cattivo” parafrasando i cartelli fuori delle abitazioni francesi “attentionchienmèchant” riferita al cane. In realtà di cattivo o feroce non c’è nulla! Il vino, prodotto con viti di 55/60 anni sembra ad un primo impatto quasi esile, forse complice la gioventù del millesimo 2014. Dopo una breve areazione alla iniziale nota di pompelmo  si aggiunge una netta nota iodata, quasi salmastra, alla quale fanno da corollario sentori di fieno e cera con una chiusura di caramello al sale. E’ proprio questa ultima nota delicatamente tostata che rivela la fermentazione alcolica e malolattica avvenuta in legno, mai di primo passaggio. Sono comunque sicuro che nel corso dell’affinamento anche questo leggerissimo lascito, comunque piacevole, verrà completamente fuso e vedremo scaturire note fruttate al momento solo accennate ma quasi soffocate dalla esuberante acidità e salinità.

Può capitare talvolta che stanchi di esprimere giudizi si voglia provare a cimentarsi in prima persona in una attività. E’ successo a Jean Christophe Garnier che da ex sommelier in locali quotati 2 e 3 stelle Michelin, si è dedicato in prima persona a produrre il suo vino del cuore. Sempre ad Anjou ha acquistato dei piccoli appezzamenti di vecchie viti di Chenined è iniziata la sua avventura. Noi abbiamo degustato La Roche 2013. Prodotto in solo 6000 bottiglie con uve raccolte da viti ad alberello quasi centenarie. L’impatto mostra una iniziale nota ossidativa, subito sovrastata da un effluvio di spezie ed una nota marina di alghe. Il vino è prodotto senza aggiunta di solforosa ed i riflessi ramati sembrerebbero presagire un suo rapido decadimento, ma al contrario con l’ossigenazione vira anche il colore e dobbiamo riconoscere che il suo paglierino nasconde un inaspettato tocco di mela cotogna,un sentore iodato con persistenza lunghissima che chiude sull’alternanza tra le note sapide e acide. La bevibilità è straordinaria.

Nel nostro fluttuare lungo la Loira ci spostiamo nuovamente ad est per andare a LesMontils, nella zona della Touraine, ad assaggiare un vino prodotto dalla Cantina Puzelat-Bonhomme. Il proprietario ThierryPuzelat proviene da una famiglia legata la vino in queste terre fin dal 15° secolo. Constatando come la viticoltura di qualità venisse castrata dalla guerra dei prezzi delle cooperative, Therry ha deciso nel 1999 di affiancare, alla Cantina di famiglia, questa sua azienda personale con la quale acquista le uve da piccoli appezzamenti lavorati in regime biologico o biodinamico, riconoscendo ai vignaioli una equa contropartita economica del loro lavoro.Nel nostri bicchieri viene versato il Tuffeau 2013. La sensazione iniziale è di una esuberante vena acida e citrina, vino croccante e fragrante. Un modesto riscaldamento della massa favorisce lo sviluppo di sentori fruttati e l’emergere di una inaspettata nota quasi dolce, subito mitigata e controbilanciata da un erbaceo declinato principalmente sulle erbe aromatiche. La nota acida di chiusura non lascia alcun residuo amaro in bocca ma anzi, ad un successivo sorso il vino sembra smagrirsi, il naso diventa mieloso con un elegantissimo tocco di cera.

ThierryPuzelat, oltre che produrre ottimi vini, ha svolto anche attività didattica e tra i suoi allievi ha incontrato Agnés e René Mosse, titolari di un Wine-bar che si sono convertiti alla produzione in proprio dei vini. Del Domaine René Mosse, sito ad Anjou, ci è stato servito l’Arena 2013. La vigna, di ben 0,44ha (!!!) si trova in un anfiteatro vulcanico sabbioso, è una zona molto calda. La vinificazione avviene in regime ossidativo con fermentazione alcolica e malolattica in legno, a botte scoperta per indurre la formazione del flor e donare al vino maggiore bevibilità. Se la prima olfazione rivela una caramella mou non particolarmente appetibile, in pochi secondi il vino si apre e dal suo giallo dorato si sprigiona un ampio bouquet di frutta matura e di confettura, sostenuto da una vigorosa acidità ed un potente nerbo sapido e minerale.

A questo punto la degustazione dei vini doveva essere terminata, tuttavia a più riprese si è discusso riguardo l’indubbio potenziale di invecchiamento di questi prodotti, ecco allora che, per fugare ogni dubbio, dalla fornitissima cantina dell’Enoteca Fuoriporta, sono arrivate su nostri tavoli di degustazioni alcuni esemplari del primo vino prodotto da Garnier: AnjouLesDreuilles 2005. Il colore è ancora assolutamente vivo, sorprende una nota di caffè subito cancellata dalla prepotente personalità salmastra. Al naso si alternano il fieno bagnato, le erbe aromatiche, i capperi ed una punta, appena accennata, di frutta candita, per poi chiudere su una elegantissima mandorla dolce. Considerando l’annata il vino presenta ancora una incredibile acidità che lascia intuire una notevole capacità di ulteriore invecchiamento.

Non posso concludere il ricordo della serata con una considerazione molto importante, anzi fondamentale. Con le nostre papille gustative, con il naso immerso nei bicchieri, abbiamo fatto un viaggio lungo la Valle della Loira. I vini in assaggio si distinguono per diversità, qualità ed anche economicità se rapportati ad altre regioni francesi più “blasonate”; se otto anni fa la scelta di puntare sulla Chenin poteva sembrare folle, possiamo ritenere vinta la scommessa. Abbiamo potuto constatare noi stessi la veridicità di quanto premesso da Christian Bucci all’inizio della serata: lo Chenin è un’uva estremamente versatile e con grande capacità non solo di adattamento ma di interpretazione del territorio, restituendone le maggiori peculiarità, mantenendo comunque riconoscibile la propria personalità. Abbiamo degustato vini molto diversi, fermi, spumanti ed ossidati, ma comunque tutti accomunati da una indiscutibile propensione all’abbinamento gastronomico. Ecco l’ulteriore punto nodale della degustazione: Il vino è un prodotto che non può prescindere da un corretto abbinamento con il cibo. La cucina della Vineria Fuoriporta, che sempre di distingue per cura delle preparazioni e ricerca maniacale delle materie prime, ci ha permesso di testare i campioni degustati con del gambero rosso di Mazara, delle seppie cotte al vapore, del salmone marinato all’aneto e del carpaccio di tonno accompagnati da riso nero. Abbiamo in altri casi smorzato e sfruttato l’impatto acido dei viniabbinandoli a del Fois Gras de Canard, la croccante fragranza del Tuffeau di Puzelat si è sposata splendidamente con un Monte Veronese Dop abbinato ad un rarissimo miele siciliano di ape nera, il nerbo ossidativo dell’Arena di Mosse si è smorzato con una crema di Blu, realizzata con ricotta di capra e formaggio Blu del Moncenisio.

Questo è ciò a cui pensa Christian Bucci nel momenti in cui decide se inserire un vino nel catalogo della sua distribuzione. Quando si cerca acidità, si cerca inevitabilmente bevibilità ed intrinseca capacità di sposarsi facilmente con il cibo. Lo Chenin è un vitigno splendido, con una versatilità incredibile e capace di accompagnare un pasto dall’aperitivo al dolce (questa uva regala infatti anche splendide declinazioni passite e botritizzate), il fatto che la sua diffusione sia cosi limitata ne accresce a mio parere il fascino. Bevendo Chenin sappiamo infatti che stiamo sorseggiando un pezzo di territorio, anzi di terroir perché stiamo godendo anche di una millenaria storia di adattamento del vitigno e di sapienza enologica dei vignaioli.

L’organizzazione della serata è stata come al solito impeccabile, al consueto merito di Luca Bandirali e Delfina Piana dobbiamo aggiungere la capacità di avvalersi della consulenza di personaggi come Christian Bucci al quale dobbiamo rivolgere un caloroso ringraziamento per la squisita gentilezza, la disponibilità, la competenza e l’esperienza che ci ha regalato con la consueta modestia e la sua innata simpatia.

Info: Enoteca Fuoriporta
Via Matteotti, 15
26013 Crema
Tel: + 39 0373 83 747
www.vistaolfattogusto.it

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