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· Abbiamo qualcosa da raccontarvi: "I vini di artigianato di Gaspare Buscemi" ·
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I vini di artigianato di Gaspare Buscemi

di Antonio Lagravinese

Il titolo di questo articolo non è altro che quello della brochure illustrativa che lo stesso Buscemi ha predisposto per presentare la propria cantina ed i propri vini.Affinché il concetto fosse maggiormente chiaro, si è anche auto-definito “ enologo, vinificatore, artigiano in Cormons dal 1973”.
In un momento nel quale il concetto di autoctono e di territorialità è sulla bocca di tutti, il richiamo all’artigianalità del vino suona come una potente rivendicazione del ruolo primario della mano dell’uomo; non per nulla la parola contiene implicitamente la parola “arte”, deriva dal latino artifex, che discende a sua volta da una parola greca che designava in egual misura gli “artefici” di qualcosa come pure gli artisti e gli attori. Non posso sostenere che Gaspare Buscemi si senta un artista, non lo so, non credo e comunque non l’ho chiesto, sono però certissimo della sua assoluta consapevolezza di quanto l’opera dell’uomo sia fondamentale nel raggiungimento di risultati di qualità.
Forse qualcuno inizierà a pensare ad una sorta di Mago Merlino o novello Cagliostro che, dotato di grande abilità tecnica, riesce a trasformare qualunque materia prima in vino degno di nota. Non è questo il punto.
Vi riporto testualmente una sua affermazione: “il valore non è nel fare ma nel non fare”. Ma allora? In cosa si concretizza la sua capacità artigianale?
Partiamo da un episodio avvenuto circa quarant’anni fa. Gaspare si trova in Francia, per la precisione in Borgogna a Beaune, per un corso di formazione dedicato agli enologi (sua la tessera n.7 dell’Associazione Enologi Italiana). Ad certo punto viene stappata una bottiglia vecchia di 23 anni che lo disarma per la sua assoluta perfezione, freschezza e mancanza di ossidazione. Ciò che più ancora lo colpisce è la frase di un francese: “questi vini voi in Italia non li fate né li farete mai”…… Una domanda si fa largo nella sua mente: perché? Questo interrogativo getta il seme che genererà la produzione dei suoi vini , nati per smentire clamorosamente l’affermazione del collega transalpino. La sua filosofia parte da presupposti elementari per poi concretizzarsi in situazioni che lo hanno fatto ribattezzare “l’Archimede Pitagorico del vino”.
Il primo assioma è:“è il tempo che consacra la qualità” . In Francia è sempre stato chiaro che esiste una produzione di vini per il mercato ed una ben distinta per la qualità; ciò non significa che tutto ciò che ha valenza commerciale sia privo di valore e che, analogamente, un vino di alto livello non possa essere apprezzato dal consumatore. La differenza è nella progettualità del prodotto. Il vino di qualità, proprio perché deve essere valutato in prospettiva, deve essere pensato e realizzato in modo da poter reggere l’impatto del passaggio del tempo, anche a scapito di una peggiore fruizione all’inizio della sua vita evolutiva. Il mercato di massa necessita di contro vini da vendere che siano immediatamente pronti da stappare. E’ sempre vino, ma sono prodotti diversi. Con una affermazione forse provocatoria, Buscemi sostiene che se l’indicazione dell’annata deve servire per tutelare il consumatore dall’acquisto di vini vecchi, e quindi potenzialmente ossidati, il produttore sta implicitamente confessando la propria incapacità nel fare il vino, perché il vino non deve ossidarsi! Ecco allora che è anche necessario approcciarsi in modo diverso all’assaggio di un vino, ma il consumatore “medio” non è preparato a farsi le giuste domande quando ha un bicchiere in mano. Interessarsi a nozioni quali le percentuali dei vitigni, i tempi di macerazione, i mesi di passaggio in legno o l’uso o meno di barrique nuove od usate, conduce a perdere di vista la vera essenza di ciò che abbiamo in bocca. Il sistema commerciale e della comunicazione non è minimamente convolto nel processo produttivo, c’è uno scollamento che non giova al sistema vino nel suo complesso.
Il secondo assioma potrebbe essere. “non c’è nulla di più scientifico della natura”. Forse nessuno ci ha pensato, abituati come siamo a sentire fior di agronomi e Winemaker raccontare le loro straordinarie tecniche di coltivazione o produzione, ma questa considerazione è di una ovvietà disarmante e parte da una semplice osservazione: il vino veniva prodotto anche centinaia di anni fa senza alcun ausilio tecnologico. Abbiamo quindi la contraddizione in termini di un Archimede Pitagorico che rifiuta la tecnica? Assolutamente no! Gaspare Buscemi ha ideato, prodotto e brevettato alcuni strumenti di cantina del tutto innovativi per l’assoluta attenzione al pieno rispetto dell’integrità del frutto. Se il contadino veneto non toglieva mai l’uva dal tino della vendemmia per non stressarla, se in Champagne usano il torchio quadrato con pressature soffici, se in Borgogna per la vendemmia delle uve destinate al mitico “ La Tậche “ non vogliono il cavallo in vigna perché troppo nervoso, se in Sicilia il sistema tradizionale di vinificazione prevedeva l’utilizzo dello storico Palmento con pigiatura con i piedi….. perché continuare con l’uso della pigiadiraspatrice? Per Buscemi questa macchina non serve a fare il vino ma confettura; la rottura violenta delle fibre provoca una estrazione violenta anche di composti che appesantiscono il vino ed oltre che comprometterne la qualità organolettica, a suo parere, ne compromette soprattutto, e questa volta indiscutibilmente, la capacità di invecchiamento per l’eccessiva estrazione di Calcio e Potassio ed innalzamento del Ph. Ecco che interviene lo scienziato. Il rispetto dell’integrità dell’uva non deriva da un senso romantico di nostalgia per le tecniche “antiche” ma da una precisa motivazione enotecnica che si è concretizzata anche nel brevettare delle apposite macchine per la lavorazione dei grappoli già dalla fase di raccolta, ad alta velocità e senza provocare rotture traumatiche agli acini. In questo modo il mosto di primo sgrondo non ha Calcio né Potassio, ha Ph basso ed è naturalmente protetto dall’attacco dei batteri anche senza dover ricorrere all’aggiunta di solforosa.
“Il vino è attenzione” ama ripetere Gaspare e tale cura si ritrova nell’assaggio dei suoi vini….. ops! ….. scusate….. bottiglie! Eh si, perché “non si degustano vini ma si degustano bottiglie”. Questo è un altro punto cruciale affrontato durante la serata. Nessun vino affina in legno, ma neppure in acciaio: il contenitore prescelto per l’invecchiamento è esclusivamente la bottiglia, rigorosamente chiusa con il tappo in sughero. In base alla sua esperienza questa chiusura permette un ideale scambio con il vino con perfetto rapporto tra quantità del liquido e superficie di contatto. Il sughero permette una certa permeabilità all’ossigeno ma cede anche tannini che contribuiscono ad arricchire la complessità del prodotto ed a potenziarne la capacità di resistenza all’ossidazione. Il meccanismo di cessione è del tutto analogo a quello svolto dalla botte di legno ma con dinamiche e velocità differenti. Ovviamente per ottenere un simile risultato è indispensabile utilizzare tappi di altissima qualità e che non rilascinocomponenti o sentori sgraditi. A questo punto  entra nuovamente in gioco l’inventore, brevettando il sistema Depurcork: una macchina che tratta i tappi in autoclave eliminando l’aria ed insufflando acqua a 70° per poi eliminarla. Ripetuti passaggi ripuliscono il sughero da ogni impurità accumulata soprattutto durante la fase di stoccaggio e gli permettono di svolgere al meglio il delicato compito che Buscemi ha a loro assegnato nel corso degli anni. Alla luce di ciò è inevitabile il giudizio espresso sui tappi a vite oppure sui conglomerati: “sono la negazione dell’evoluzione”. Il vino in bottiglia, tappata con il sughero, resta materia viva, respira , crea un equilibrio di scambio con l’esterno grazie alla porosità del tappo, cresce e si evolve. Sulle etichette di Buscemi non troverete mai informazioni che non servono ma solo quelle che lui ritiene essenziali, e tra queste, forse la più importante, è la data di imbottigliamento perché il consumatore deve sapere da quanto tempo quel vino sta affinandosi in quella bottiglia.
La discussione è sicuramente stimolante, l’approccio è decisamente originale, gli spunti di riflessione molto numerosi, è il momento di passare all’assaggio delle…… bottiglie.

ALTURE BIANCO 2003
Un’altra delle informazioni che il consumatore dovrebbe avere, secondo Buscemi, è la natura dei terreni dai quali provengono le uve. Ecco allora che i suoi vini si chiamano “Alture” se prodotti con vigneti di collina (le “alture” appunto) oppure “Braida” per i prodotti di pianura (dal termine friulano “braida” che designa l’appezzamento in piano, normalmente recintato, posto accanto alle abitazioni. La base del vino è Pinot Bianco con una piccola percentuale di Tocai Friulano e di Ribolla; ha un colore oro brillante con nuances quasi verdoline, impensabile per un prodotto imbottigliato nel 2004. Ciò che stupisce inoltre, conoscendo l’annata enormemente calda, è la grande freschezza. In bocca è sapido, note di frutta matura vengono arricchite da un elegantissimo sentore di fiori bianchi con un finale lunghissimo su una leggera nota tostata.

RISERVA MASSIMA ALTURE BIANCO 1988
Stiamo parlando di un vino bianco, italiano, che ha 28 anni….. Si presenta con un fantastico giallo oro, al naso immediatamente colpisce la sensazione burrosa data dalla presenza di acido lattico; non appena una leggera agitazione la disperde emerge prepotente una grassezza con sentori netti di banana e ananas. Infinita la persistenza gustativa dalla quale emergono ancora note floreali decisamente fresche. Il vino sembra a tutti dotato di un’ottima acidità ma Buscemi ci comunica che il Ph è di solo 4,8; la sensazione che noi percepiamo è dovuta alla mancanza di estrazione di calcio e potassio, condizione che dona freschezza e bevibilità. Questo vino, tutt’altro che alla fine della sua vita evolutiva, ha passato 27 anni in bottiglia con solo 40/50 mg/l di solforosa!

LE MIE OSSIDAZIONI 1994
Cambiamo decisamente registro gustativo per affrontare una bottiglia che necessita di una premessa. Come ben spiegato nell’etichetta del vino, esistono generalmente due tipologie di ossidazioni: quelle volute e quelle accidentali. Nel primo tipo rientrano i vini speciali come Porto, Madeira, Marsala  o Sherry che hanno strutture, talvolta anche fortificate, che permettono alle note ossidative di fondersi armonicamente e donare complessità ed eleganza. Le ossidazioni non ricercate degradano invece vini non predisposti a lungo invecchiamento, causando deviazioni olfattive e gustative e rendendo solitamente sgradevole l’assaggio.
In questo caso ci troviamo forse in una terza via, bene indicata dalla rivendicazione “MIE” nel nome del vino. Abbiamo infatti un Pinot Bianco del 1994 che per sua natura avrebbe tranquillamente le potenzialità di invecchiamento. Le note ossidative trovano quindi un valido substrato sul quale “appoggiarsi” e la vena ancora fresca del vino le supportano egregiamente. Un bellissimo colore ramato che conduce Gaspare a consigliare un abbinamento per “concordanza cromatica” come il risotto allo zafferano oppure anche le pesche all’amaretto. In realtà, oltre al colore ritengo che la spiccata aromaticità dello zafferano troverebbe sicuramente valida spalla nelle persistenza lunghissima e nelle freschezza del vino, come pure le pesche troverebbero un abbinamento per concordanza nella nota fruttata comunque presente all’assaggio.
La discussione si anima ed i complimenti si sprecano ma anche in questo momento il nostro relatore ci spiazza: “per quanto buono sia questo vino, io troverò sempre superiore un vino non ossidato. Se un vino non si ossida vuol dire che era fatto talmente bene che all’interno della bottiglia ha trovato un proprio equilibrio che lo ha protetto appunto dall’aggressione del tempo”. Ritorna quindi prepotente il richiamo ad un assoluto rispetto della natura e della necessità di riuscire ad assecondarla ed esaltarne le potenzialità.

PERLE D’UVA ’02-’03 IMBOTTIGLIATO NEL 2004
Questo “vino frizzante naturale” si rivela uno spumante di incredibile carattere. Pinot Grigio, Chardonnay, Sauvignon e Malvasia concorrono a donare una personalità che deriva certamente dalla qualità delle uve ma indiscutibilmente anche dalla mano dell’enologo. Anche in questo caso lo sguardo si rivolge alla Francia ed allo Champagne in particolare,ma non come modello, tutt’altro. La Champagne è un territorio unico, ad una latitudine particolare che comporta una maturazione tardiva delle uve. In Italia, usando gli stessi vitigni ma con un clima decisamente più caldo, si tende a vendemmiare in anticipo, trovandosi però uva che non ha compiuto il proprio ciclo vegetativo. Diventiamo quindi la brutta copia dello Champagne. La bollicina italiana nasce invece tradizionalmente attorno alle città tramite rifermentazioni in bottiglia. E’ a questa tradizione che Buscemi si ispira, reinterpretandola però in base alla propria esperienza e capacità tecnica.
Questo vino nasce da due annate che sono state compiutamente vinificate, alle quali è stato aggiunto il mosto dell’anno di imbottigliamento allo scopo di abbassare il tenore alcolico dei vini di partenza e fornire gli zuccheri necessari per far partire la rifermentazione in bottiglia. Il tappo è ovviamente in sughero per sfruttarne la cessione dei tannini, fermato però da un tappo a corona per rallentarne l’evoluzione e resistere alla pressione che si genera durante la fermentazione.
Alla degustazione troviamo una straordinaria rotondità, una solida spalla acida, una vena grassa a donare forza ed una cremosa bollicina ad alleggerire e favorire la beva. E’ un grande vino che, incidentalmente, ha anche dell’effervescenza.

RI BOLLA 1987
La spumantizzazione nella Cantina Buscemi nasce da qui. E’ il primo anno in cui viene prodotta mediante imbottigliamento precoce del mosto di Ribolla prima che finisse la fermentazione (lo spazio tra RI e BOLLA non è un refuso.. è proprio il nome che richiama il vitigno e la tecnica di vinificazione).
Gaspare ricorda come inizialmente avesse tappato con solo il tappo in sughero, solo successivamente fissato con quello a corona vista la quantità di bottiglie che “saltavano”, cosi come la sboccatura effettuata a mano dalla moglie assieme ad un amico di famiglia.
Il vino ha acquistato un colore dorato vivacissimo, al naso si sprigionano fiori, frutta ed erbe aromatiche. La bollicina è morbida ed elegante, all’aumentare della temperatura migliora e compare, timidamente, una leggera nota ossidativa che contribuisce alla complessità ed eleganza.
Perfetto l’abbinamento proposto da Delfina Piana con un’ottima  Mousse di trota con ricotta di capra.

ALTURE ROSSO 2009
Prodotto con uve Merlot quasi in purezza, il sorso rivela un vino di estrema giovinezza.  Il mosto resta per tre mesi sulle vinacce per una estrazione soffice mantenendo integrità dei tessuti. Il tannino è fin d’ora elegante, la beva è giocata principalmente su note di frutta fresca, una bella vena acida, buona sapidità ed un erbaceo appena accennato. Questa bottiglia ha ancora molto tempo davanti a sé per evolvere e migliorare ulteriormente.

RISERVA MASSIMA ALTURE ROSSO 1988
Nel 1988 non c’era l’idea odierna di viticoltura, le rese erano molto maggiori e questo vino è fatto con uve Merlot, provenienti dalla zona vocata di Oslavia, allevate con una produttività di 150 ql/ha, decisamente molto alta. Troviamo quindi un vino scarico e di poco corpo? Non proprio, dopo una energica areazione per favorire un naso inizialmente molto chiuso, si sprigiona un ventaglio aromatico impressionante: Spezie, tamarindo, cuoio, liquirizia, caffè, ginepro, nocciola tostata: una eleganza stratosferica che viene confermata da un sorso potente e dotato di una robusta vena acida che favorisce una bevibilità imbarazzante per un vino di questa tipologia e di questo invecchiamento.
Anche in questo caso, dalla cucina della Vineria Fuoriporta, Delfina Piana ci propone un Mini-Burger con Comte della Savoia che accompagna egregiamente il bicchiere anche se, forse, alla lunga il vino ha il sopravvento.

OSSIDAZIONE ESTREMA 1988
Queste bottiglie hanno una storia particolare. L’uva è un verduzzo in purezza. Dopo l’imbottigliamento sono state subito coricate, ma i tappi tendevano ad uscire sotto la spinta dell’aumento della temperatura del  vino. Sono state quindi raddrizzate e lasciate in verticale per oltre vent’anni. Si è quindi accelerato lo scambio gassoso con l’esterno a causa della maggiore permeabilità del tappo che tendeva a seccarsi, non essendo bagnato dal vino. Lo zucchero residuo è di soli 2gr/l ed il tenore alcolico di 10°. Il vino non è stato quindi alcolizzato e l’ossidazione e dovuta solamente all’alcol e non alle parti vegetali che non sono state estratte. Inusuale la freschezza e sapidità di questo bicchiere che si può proporre come vino da meditazione oppure ottimamente in abbinamento a formaggi stagionati come l’ottimo Pecorino Sardo a noi proposto.
La serata si chiude con un piacevole fuori programma.

UVA DIMENTICATA 1998
Prodotto non commercializzato che ha una storia particolare. Un committente chiede di produrre un passito con uve verduzzo. I grappoli dopo la vendemmia vengono appesi alle pareti e fatti appassire. Il Cliente non si rende più reperibile, quindi l’uva viene stoccata in una barrique, le viene aggiunto un po’ di vino verduzzo, con l’intenzione di procedere poi ad una torchiatura. Viene però dimenticata fino al momento in cui, anni dopo, la rottura di un caratello dell’aceto rende indispensabile svuotare quella barrique e…. sorpresa! Gli acini hanno assunto una consistenza particolare ed un sapore quasi di cioccolato. Un prodotto curioso ma decisamente gustoso.
L’incontro con Buscemi è uno di quelli che restano impressi nella memoria non solo per la qualità dei vini ma per la personalità dell’interlocutore.
La degustazione è sempre stata condotta in modo impeccabile da Luca Bandirali e Delfina Piana ma gli spunti di riflessione gettati dal protagonista della serata resteranno probabilmente più impressi dei suoi stessi straordinari vini, dei quali lui stesso è innamorato al punto di confessare: “mi dispiace vendere i miei vini”!!!
Se non ho mai parlato di Denominazioni, di autoctono o di terroir un motivo c’è. Tra i vini degustati ci sono degli IGT e dei DOC ma questo poco importa, anzi nulla. Per Buscemi l’indicazione della denominazione, purtroppo, non è più garanzia di tipicità; le commissioni preposte riconoscono le denominazioni a vini che non rispettano minimamente i parametri descrittivi del gusto illustrati negli stessi disciplinari che tali commissioni dovrebbero tutelare. Il rispetto del territorio passa attraverso il rispetto della cultura, che è popolare per definizione e non patrimonio esclusivo dell’individuo. Ecco quindi che: “ terroir è  il modo in cui il vino si adatta al terreno, così emerge il territorio”. E vini di Buscemi sono vini di territorio. Per anni diceva di fare “vigno” e non vino, in quanto frutto della vigna. Veronelli, del quale Gaspare ha avuto grande considerazione, diceva riguardo al vino che “ il tempo lo fa sferico”. Ebbene, i vini di questa sera hanno dimostrato come il tempo riesce ad accarezzare alcuni vini senza stravolgerli o deformarli ma rendendoli appunto più morbidi, eleganti, “sferici” appunto.
Perché ciò sia possibile serve però una mano ferma ed una mente lucida sia in vigna che in cantina. Buscemi ha dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, di essere una di queste menti delle quali la viticoltura italiana deve essere fiera.

Se ti interessa questo articolo, allora dà un occhio qui! Enoteca Fuoriporta

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